mercoledì 30 marzo 2011

Il nucleare e l'acqua: nessun dorma

Di Stella Bianchi

Il 12 e il 13 giugno prossimi i cittadini avranno la possibilità di decidere su tre questioni importanti che riguardano la vita e il futuro di ognuno di noi. Per noi del Partito democratico la scelta è chiara: un sì contro il legittimo impedimento, un sì contro il nucleare, un sì per l`acqua pubblica e contro la privatizzazione forzata imposta dal governo Berlusconi e una nostra proposta di legge per il governo pubblico del servizio idrico integrato.
Abbiamo sempre espresso con forza la nostra contrarietà al piano di ritorno al nucleare voluto dal governo Berlusconi. Lo ripetiamo da mesi e con motivazioni tutt`altro che ideologiche. Secondo il piano approssimativo del governo dovremmo importare una tecnologia vecchia e non ancora sperimentata, sopportare costi altissimi e per di più incerti, tempi lunghissimi di realizzazione degli impianti senza alcun piano certo di gestione delle scorie radioattive, neppure di quelle già esistenti nelle centrali non ancora smantellate.
Il ritorno al nucleare voluto dal governo è una scelta sbagliata che non ha il consenso dei cittadini e che tanto più va ripensata ora. La tragedia giapponese dimostra con chiarezza un fatto semplice e terribile: non è eliminabile il rischio di un incidente in una centrale nucleare. Neppure nel paese più attrezzato al mondo contro il rischio di terremoti e maremoti.
Certo, in Giappone è accaduto qualcosa di eccezionale, un terremoto e un maremoto di intensità fuori dall`ordinario. È poco probabile che accada un evento del genere. Così come è poco probabile che si verifichino incidenti di altro tipo in una centrale nucleare che rispetta tutte le norme di sicurezza. Poco probabile ma non impossibile. E quella scarsa probabilità va misurata con le conseguenze. I danni possono essere incalcolabili. Vasti territori contaminati per migliaia di anni, la salute degli abitanti e di un numero indefinito di generazioni future a rischio, malattie che si sviluppano negli anni e malformazioni nei nuovi nati. Questo è già accaduto. Sta a noi imparare la lezione, agire davvero secondo il principio di precauzione, ispirare i nostri comportamenti, le nostre politiche, le nostre attività economiche inclusa la produzione di energia alla necessaria umiltà nei confronti della natura e al rispetto dell`ambiente per noi e per le generazioni future.
Da Fukushima arriva una lezione per tutti. Per la Germania, per la Francia, per gli Stati Uniti. Solo in Italia il governo ha tentato per giorni di negare la realtà per poi dichiarare una moratoria di un anno rispetto al proprio piano nucleare. Parole mentre gli atti, come il decreto sui criteri per la localizzazione dei siti, stanno continuando il loro percorso. Opportunismo sulla pelle dei cittadini, un tentativo di distrarre dal referendum che non farà molta strada. Noi saremo città per città a sostenere le ragioni del sì per fermare il nucleare e di una idea per il futuro del nostro paese che è nell`economia verde e in un piano nazionale fondato sull`efficienza energetica e sulle fonti rinnovabili.
Allo stesso modo siamo per il sì all`acqua pubblica e per il no alla privatizzazione forzata imposta dal governo Berlusconi e a questo uniamo una nostra proposta di legge.
Lo abbiamo denunciato più volte: il decreto Ronchi sottrae alle comunità locali la possibilità di scelta e le obbliga a svendere un patrimonio prezioso per la collettività. Crea le condizioni perché si realizzino monopoli privati in un settore come quello del servizio idrico integrato, fatto di acquedotti, fognature, depuratori, che per sua natura è sottratto alla possibilità di concorrenza dopo l`affidamento del servizio.
Intorno all`acqua pubblica c`è un interesse fondamentale per tutti noi, obiettivi irrinunciabili. La tutela di una risorsa scarsa e insostituibile per la vita. La garanzia a tutti, in ogni angolo del paese, di un servizio della massima qualità e a tariffe eque. Il rafforzamento del ruolo pubblico nella programmazione del servizio e degli investimenti, nella regolazione e nel controllo restituendo le scelte fondamentali ai cittadini attraverso i loro sindaci e affidando ad una autorità nazionale di controllo il compito di vigilare con poteri stringenti.
Ci vuole una visione di insieme, un quadro di regole certe che ridia stabilità a un settore così rilevante che è stato manomesso dai tanti frammentati interventi del governo Berlusconi. E insieme a questo va data priorità alla realizzazione degli investimenti con un`attenzione a facilitare con tariffe più basse le fasce sociali disagiate e le famiglie numerose.
Ciò che serve all`Italia è un piano paese per l`acqua, un programma ambizioso che garantisca che il servizio di depurazione funzioni nell`intero paese, che vengano ridotti sprechi e dispersioni dell`acqua, che sia migliorata la salvaguardia del territorio. Ci vuole una politica industriale per l`acqua, una sapiente gestione che unisca efficienza, efficacia, economicità, dimensioni di scala adeguate, tecnologie, competenze manageriali e organizzative. Solo così si potranno realizzare gli obiettivi di equità, solidarietà, riequilibrio territoriale, rispetto per l`ambiente e per le generazioni future che ci stanno a cuore.

mercoledì 16 marzo 2011

Riflessione sul 150° dell'unità d'Italia

Di Dario Franceschini
L'occasione delle celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell'unita' d'Italia offre lo spunto per una riflessione che si impone prima di altre: il nostro Paese e' molto piu' unito, coeso e solidale di quanto non si pensi. Certamente molto piu' unito di quanto non lo rappresenti la politica. E' utile domandarsi il perche'.

Eppure centocinquanta anni non sono trascorsi invano.

Abbiamo attraversato una storia difficile, a tratti tragica.

Siamo diventati tardi una Nazione e con ritardo, rispetto ad altri grandi paesi, abbiamo incontrato la democrazia. Ma e' difficile negare che proprio in questo percorso tormentato e difficile, la politica ha avuto un ruolo importante nella costruzione dell'identita' e dell'appartenenza ad un comune sentire. Ad una comunita'. E' un merito che va riconosciuto alle grandi tradizioni culturali e popolari di questo Paese.

Probabilmente in occasione delle celebrazioni di quest'anno si e' posto molto l'accento sull'inizio di questo percorso unitario. Le pagine esaltanti e gloriose del Risorgimento. Le grandi ed eroiche figure di quella stagione, le guerre d'indipendenza, i martiri. Tanti autori hanno indagato su quel tratto iniziale di strada che segna la storia d'Italia.

E tuttavia credo che sarebbe utile proiettare l'attenzione e l'interesse, anche storiografico, sui periodi successivi ed in particolare su quello della storia repubblicana, come elemento decisivo di quel processo di unificazione che ci ha condotto ad essere e a sentirci davvero una Nazione. In altre parole vorrei dire che c'e' un nesso inscindibile, non abbastanza evidenziato, tra democrazia e unita' del Paese.

L'unificazione reale, sociale, economica e culturale dell'Italia e' in strettissima connessione con i valori e i principi della Costituzione, ma anche con la traduzione concreta di quei valori e di quei principi nelle scelte politiche. Sia nell'azione dei diversi governi, sia nel confronto parlamentare. Penso alla stagione politica nella quale la collaborazione parlamentare tra le grandi forze popolari, di maggioranza e di opposizione, ha consentito grandi riforme dello stato sociale, in settori strategici come la sanita', il lavoro, la scuola. Riforme che hanno reso l'Italia piu' giusta e dunque piu' unita.

Questa capacita' della politica - pure attraverso contraddizioni, ritardi, opacita' che ci sono state - di lavorare per il bene comune come bene di tutti e non solo di una maggioranza e' apparsa indebolita. La politica troppo spesso oggi appare solo come scontro di potere, motivo di divisione. E forse non e' un caso che alla crisi della politica e alla caduta di credibilita' delle sue istituzioni corrisponda anche un indebolimento dell'immagine unitaria del Paese.

L'altra riflessione che sento necessaria, nel momento in cui celebriamo l'unita' d'Italia, riguarda l'Europa. Avrebbe poco senso celebrare la nostra unita' fuori dall'orizzonte dell'europeismo che resta la nostra bussola ideale, non solo il nostro interesse, se davvero crediamo nei valori di liberta' e di pace che ispirarono fin dall'inizio il sogno risorgimentale.

martedì 15 marzo 2011

Nucleare, la scelta sbagliata

Il terremoto giapponese mette in allarme il mondo sui rischi imponderabili che la scelta dell'atomo può provocare. Bersani: siamo stati, siamo e saremo contro il piano nucleare del governo.

Il terremoto in Giappone e l'allarme nucleare dopo le esplosioni nelle centrali di Fukushima e Tokai e Onagawa mettono in allarme la gestione l'intera gestione energetica mondiale e pongo nuovi interrogativi sull'effettivo e necessario uso dell'energia nucleare.

Mentre si piangono ancora le migliaia di morti in un numero crescente non ancora quantificabile, l'attenzione mondiale resta ancorata sugli effetti che l'esplosione del reattore numero 3 dell'impianto nucleare di Fukushima potrebbe provocare per il Giappone e i territori limitrofi. Attualmente le barre di combustibile non sono completamente sommerse dall'acqua di raffreddamento e questo fa sì che si possa creare un processo di fusione con conseguente creazione di idrogeno che, danneggiando le stesse barre, provocherebbe fuoriuscita di isotopi radioattivi. Questa mattina, ore italiane, nella terra del Sol Levante pioveva il che significava una minaccia per la popolazione viste le possibilità che le polveri si potessero spargere in un raggio molto più ampio.

Il paradosso più scontato sta proprio nell'analisi di una catastrofe accaduta in un paese all'avanguardia per tecnologia, sicurezza e edilizia: cosa sarebbe accaduto nel caso il terremoto avesse colpito un luogo con caratteristiche molto meno evolute. Cosa sarebbe accaduto, per assurdo, in Italia?

Già proprio quell'Italia che oggi è bloccata sui problemi giudiziari del premier come priorità assoluta da risolvere e dove un governo qualunquista rilancia in maniera del tutto superficiale la scelta nucleare come risposta al fabbisogno energetico. Qui non si deve decidere se il nucleare faccia bene o male, se sia “buono o cattivo”, qui si dichiara con fermezza che non si può considerare la scelta dell'atomo come andare al supermercato o prendere un caffè. È proprio l'imponderabile che arriva dal Giappone che fa aprire gli occhi ai governi un po' troppo permissivi e legati a ragioni di lucro che hanno poco a che vedere con la ricerca di nuove forme di approvvigionamento energetico.

La Francia, il paese europeo che ha adottato la scelta nucleare con più solerzia e convinzione, ha dichiarato di avere qualche perplessità circa le informazioni ufficiali che arrivano da Tokyo. Molto probabilmente quelli del governo giapponese sono dati molto al ribasso rispetto la reale minaccia di radiazione. Ma la scelta nipponica non è troppo da biasimare se vista nell'intento di evitare scene di panico collettivo o allarmi che potrebbero essere più nocivi dell'effettiva gravità della situazione.

Questi sono solo alcune immediate considerazioni che dovrebbero far riflettere il governo italiano sulla faciloneria con cui ha indicato l'atomo come la panacea del fabbisogno energetico del Bel Paese.

"In questo momento - ha detto il segretario del PD, Pier Luigi Bersani - rivolgiamo un pensiero a quegli eroi che stanno cercando di contenere i danni e mettere sotto controllo le centrali" in Giappone. "Quanto a noi, siamo stati, siamo e saremo contro il piano nucleare del governo".

mercoledì 2 marzo 2011

Paolucci: decisiva la sfida delle alleanze. Il segretario interviene sul ruolo guida del Pd e gli scontri che lacerano il centrosinistra


PESCARA. «Il Partito democratico può lanciare la sfida del governo se sarà capace di stringere alleanze con la società abruzzese. Per riuscire in questo obiettivo, deve compiere ulteriori sforzi nella elaborazione di una linea politica chiara, che preveda una selezione seria di chi, da dentro il partito, ambisce a governare una comunità senza riprodurre vecchi vizi». Il segretario regionale del Pd, Silvio Paolucci, interviene per fare chiarezza su alcuni dissidi che lacerano il partito e rendono più difficile tracciare un quadro delle alleanze in una fase politica molto delicata per l’Abruzzo.

A che punto è l’elaborazione, e quali prospettive indica il Pd in vista di un ricambio della guida politica in Abruzzo?
«Innanzitutto, il Pd d’Abruzzo è in campo. E probabilmente, insieme ad altre forze, oggi sarebbe in grado di vincere le elezioni regionali. Un miracolo, se ci ricordiamo cosa è avvenuto nell’orribile 2008. Ma più che un miracolo è un merito conquistato per essere stati sempre presenti sulle principali questioni della comunità regionale: vertenza Abruzzo, sanità, ricostruzione dell’Aquila e macroregione Adriatica».

Cosa invece non ha funzionato, visti i continui fronti problematici aperti in diversi Comuni importanti alla vigilia del voto amministrativo?
«E’ un dato di fatto che abbiamo gruppi dirigenti troppo spesso legati a logiche del passato, che vivono e praticano la politica secondo gli schemi dei partiti di provenienza e non secondo ciò che il Pd vuole essere».

Emerge una difficoltà a sfondare anche nell’elettorato giovanile, così come attingere energie dall’esterno?
«Il basso tasso di rinnovamento della politica è dovuto alla destrutturazione della società: i nostri giovani, privi ormai di troppi diritti, non hanno accesso alla possibilità di dedicare tempo e passione alla politica. Persino sulla scelta dei candidati sindaci, si chiede più l’intervento delle segreterie che la partecipazione dei cittadini. Insomma, vecchi schemi».

Come se ne esce?
«Il dato su cui riflettere è che in una parte del gruppo dirigente abruzzese non ci sia ancora la consapevolezza che la scelta del Pd è irreversibile e che è quindi dovere del partito trasmettere ai militanti più giovani senso di appartenenza, generosità e capacità di mettersi in gioco. Spetta invece ai dirigenti, che più hanno avuto dal partito, in termini di ruoli e incarichi, dare il buon esempio ai più giovani che in politica avranno meno spazi e meno garanzie come già accade nel resto della società»

Chi entra in politica è mosso spesso da interessi e opportunità personali più che da un’autentica voglia di cambiamento.
«Bisogna insegnare ai giovani che la selezione della classe dirigente avviene sulla base delle capacità, di ciò che si realizza ogni giorno nel rapporto con le persone e la società, non tramite le conte interne. Peggio ancora l’idea e la pratica di utilizzare il partito come un autobus: si sale e si scende a seconda delle convenienze».

Torniamo al rebus delle alleanze a sinistra, cosa c’è che non va?
«E’ un dato di fatto che da parte dei partiti alleati viene sul territorio troppo spesso una spinta a dividere, anziché a unire, con un eccessivo trasformismo di chi rivendica moralismo ed etica politica ma non la pratica affatto».

Perché accade questo?
«Occorre superare i limiti che ancora ostinatamente vogliono legarci al passato. Come si fa? Attraverso un confronto che se serve va condotto sino in fondo. Ed è quello che in realtà sta avvenendo. Sarà utile all’Abruzzo. Ne sono convinto».

Confronto che però non si traduce sempre in risultati utili.
«Ci sono i casi negativi, su cui siamo dovuti intervenire con decisioni coraggiose, ma anche tanti esempi positivi di rinnovamento del gruppo dirigente. E’ accaduto a Lanciano, dove conPupillo abbiamo riaperto la partita con un candidato scelto dalle primarie di coalizione».

Perché urge la necessità di un’alleanza credibile?
«Perché abbiamo una giunta regionale che non ha mai avuto in tutto il dopoguerra i poteri che ha oggi, eppure mai nessuna giunta ha ottenuto così scarsi risultati. Il Pd è pronto a proporsi di nuovo come classe di governo, insieme con una larga alleanza di forze riformiste e democratiche. Abbiamo competenze, intelligenze e idee per farlo. Iscritti, militanti, elettori e amministratori. La missione non è impossibile».

Da Il Centro del 27 febbraio 2011